Le chiavi di casa

Le chiavi di casa

Crescere in una famiglia di tre donne sole, in un paese dell’est, non era stato facile. Il padre di Sonia era morto giovane, per un incidente, quando lei era ancora bambina, lasciando alla famiglia la casa nella quale abitava, un orto e niente altro. Se ne era andato portandosi dietro quel poco di benessere che era riuscito a creare. Da quel momento la madre era vissuta in un affanno continuo tra il lavoro, le figlie ancora piccole ed il denaro che bastava solo per la sopravvivenza. Era una donna affettuosa, nel modo ruvido ed essenziale che poteva permettersi, molto legata alle sue bambine alle quali aveva cercato di insegnare soprattutto a badare a se stesse. E le due sorelle avevano imparato a comportarsi come piccole adulte, si preparavano da sole la cena e la cartella, studiavano e stendevano il bucato, cucinavano e giocavano con le bambole. La mamma aveva consegnato loro le chiavi di casa ed aveva sistemato un panchetto, davanti alla porta d’ingresso, perché erano troppo piccole per arrivare alla serratura.Sonia era nata per prima, quando i suoi genitori erano soltanto dei ragazzi ed abitavano con la nonna; il padre la faceva giocare, come avrebbe fatto con una sorella piccola, spesso la caricava sul trattore e la portava con sé quando andava in campagna. Nei primi anni era cresciuta nella convinzione di essere una specie di principessa, come lui la chiamava, ma molto presto aveva provato la paura di perdere il suo mondo, perché era nata un’altra bambina. E mentre lei era sempre stata robusta, la sorella aveva dimostrato fin dai primi giorni di essere delicata di salute, non cresceva e la notte piangeva per ore. Tutta l’attenzione della mamma era finita nelle cure continue per Elena. La piccola, venendo al mondo, aveva trovato nella madre un amore esclusivo che teneva lontano il padre e la sorella.

Quando era arrivata la notizia dell’incidente del papà, la nonna era venuta a prendere le bambine e lei non si era resa conto di che cosa fosse successo, nemmeno quando erano tornate a casa e la mamma aveva lo sguardo spento. Soltanto dopo molti giorni aveva capito che morire, per un padre, voleva dire non tornare più a casa la sera per far saltare la sua bambina.

Con la morte del padre la rivalità tra lei e la sorella era diventata più aspra, perché nella madre si era riaccesa un’attenzione esagerata per la piccola, che aveva paura di perdere, senza alcun motivo reale, perché la sua salute si era sistemata.

Erano belle le tre donne della famiglia, di una avvenenza forte, che ricordava quella delle zingare, bruna, formosa, con dei colori ambrati nella pelle e nello sguardo profondo, ma, nessuna di loro, e ognuna a suo modo, era felice. La mamma era troppo stanca per concedersi un’altra possibilità e, se mai avesse trovato i soldi, le mancava il tempo per prendersi cura di sé, uscire con le amiche, comprarsi qualche vestito. E poi come avrebbe potuto avere un altro compagno con quelle due ragazze in casa che crescevano tanto in fretta, ragionava con sé stessa.

Sonia era quella forte, autonoma, sempre in lite con la sorella, attenta a difendere i propri diritti anche in modo clamoroso, da quando non poteva più contare sul sostegno del padre. Sembrava credere che nei suoi confronti quasi tutti commettessero delle ingiustizie da cui doveva difendersi. Era riuscita a farsi la reputazione di avere un brutto carattere, facile alla protesta, alla rivendicazione, agli scoppi di rabbia imperiosa. Ma era dotata di una bellezza precocemente matura, che, quando era ancora una ragazzina, aveva destato l’interesse di un italiano che si presentava molto bene. Le ricordava un po’ il padre, per i modi gentili con cui la trattava, come sanno fare i signori di una certa età, con l’attenzione assidua, i piccoli regali e la pazienza con cui sopportava i cambiamenti improvvisi del suo umore. Sonia aveva solo diciassette anni e non credeva di esserne innamorata, ma era lusingata dalla sua corte insistente e si sentiva forte della sua protezione. Quando Danilo si era presentato a casa, la mamma aveva sgranato gli occhi davanti al maturo corteggiatore della figlia che aveva qualche anno in più di lei. Sonia era stata avvertita sui rischi che stava correndo, le aveva parlato chiaro, ma la figlia era cocciuta e lui continuava a venire almeno una volta al mese, portava regali per tutte e aspettava che la ragazza diventasse matura, si convincesse a sposarlo e a partire insieme a lui per l’Italia. Sonia all’inizio era esaltata dall’ammirazione di Danilo, lo incontrava regolarmente, accettava i regali, si faceva vedere in giro, ma non aveva nessun desiderio di seguirlo, anche perché sperava di incontrare una persona che le facesse veramente perdere la testa. Erano stati necessari sette anni perché la ragazza si convincesse che il tempo passava e che forse quell’uomo era la sua possibilità di avere una vita diversa e soprattutto di sposarsi prima di Elena.

Quando si incontrano per la prima volta, per valutare insieme la possibilità di fare l’inserimento, Sonia ed Alessandra si interrogano rapidamente con lo sguardo per decidere quale delle due si presenterà per prima

Allora chi incomincia? esordisce la più giovane, che non attende la risposta ed inizia a raccontarsi.

Erano circa tre mesi che la ragazza coltivava il suo progetto, precisamente da quando l’ultima coinquilina aveva finalmente liberato la stanza nell’appartamento che condivideva con lei. Alessandra aveva arieggiato, sfregato il pavimento, lavato le tende, aggiustato l’armadio e rifatto il letto con una certa furia, come per cancellare al più presto ogni traccia di chi aveva combinato quel disastro. E mentre si perdeva nella contemplazione del nuovo ordine, ripensando al faticoso esercizio di sopportazione appena concluso, si andava convincendo di essere abbastanza robusta per realizzare un suo desiderio ancora non confessato a nessuno. I tre mesi successivi li aveva passati chiedendo agli amici che cosa ne pensavano del suo progetto di ospitare una persona un po’ matta, ma non molto, soltanto un poco strana, era certa che ce l’avrebbe fatta, se fosse stata una persona abbastanza giovane e autonoma. Lei voleva prendersi cura di qualcuno, perché era stata abituata a farlo nella sua famiglia, dove la tavola era sempre apparecchiata e l’ospitalità era normale, quasi un dovere. E poi aveva così tante passioni, anche al di fuori del lavoro, che sicuramente avrebbe trovato qualcosa da fare insieme alla sua ospite. Gli amici sapevano quanto fosse cocciuta, non la sconsigliavano, ma la guardavano perplessi e le dicevano che avrebbe dovuto pensarci molto bene, prima. Ci aveva pensato e si era convinta che questa era la cosa giusta da fare.

Sonia, ascolta con attenzione, poi si mette un po’ a scherzare sul fatto che lei è tutto l’opposto, al confronto non sa fare quasi niente. Non ha passioni, risponde ad Alessandra, forse il ballo e la musica, ma non è molto attiva, anche se lo è stata, in certi momenti, ma allora non stava bene ed aveva bisogno di un aiuto. Adesso va meglio, anche se dovrebbe imparare a concentrarsi su quello che sta facendo. Certo anche lei ha qualche impegno, alla mattina si alza presto perché lavora in un forno, non guida la macchina e deve arrangiarsi con i mezzi pubblici.

La sua bambina la mette spesso in difficoltà perché è molto sveglia e vivace, per i suoi cinque anni, vive con l’ex marito, dopo la loro separazione, e può vederla solo una volta alla settimana in presenza di un operatore dei servizi. Protesta, alzando un po’ la voce, che non hanno mai avuto molta fiducia nelle sue capacità, così non può seguirla come vorrebbe e si sente sempre in colpa, anche se fa tutto quello che può, anzi molto di più.

Quando Sonia è arrivata in Italia si è subito resa conto che la situazione non era quella che aveva immaginato. Aveva difficoltà a comprendere la lingua, ma non ci voleva molto a capire che alla famiglia del marito non andava bene niente di quello che lei faceva. Non era certo una come lei che si aspettavano come moglie di Danilo. Forse non le sarebbe importato molto della loro opinione, se non fosse stato che il marito non teneva le sue parti, anzi le chiedeva di non rispondere, di non arrabbiarsi, di non mettere quella gonna troppo corta, di non truccarsi così tanto. Anche i soldi non bastavano mai e lei era stata costretta ad andare al lavorare, ma in fabbrica doveva stare attenta alle altre operaie che parlavano tra di loro, ridacchiavano e la spiavano sempre, anche quando andava in bagno, ne era certa. Quando è rimasta incinta avrebbe dovuto essere contenta ed invece si sentiva molto sola ed aveva paura di non farcela, mentre la suocera non aspettava altro per riprendere il suo posto accanto al figlio. Dopo il parto era stata ricoverata una prima volta e poi ancora negli anni successivi, perché in certi momenti sentiva che tutto le stava crollando addosso, in altri le sembrava di tenere il mondo in una mano e di poterlo governare come se fosse stata Dio. Con il marito la situazione non era più sostenibile ed erano arrivati alla rottura definitiva, quando lei era stata accolta nella comunità. La bimba era rimasta con il padre.

Adesso si trova ospite in una “Casa della Carità”, dove non si sta male, ma ci sono troppe regole da rispettare, per esempio non può avere in mano le chiavi di casa, per entrare ed uscire quando le pare. Senza le chiavi di casa, dice Sonia, non ha speranza di diventare abbastanza autonoma per stare con la sua bambina.

Anche per lei, dice Alessandra, si tratta di confermare la sua autonomia, che vuole “mettere alla prova in una relazione individuale”, con questa ospitalità un po’ fuori dalle regole. Certo è molto giovane, le ricordiamo, ma Alessandra riconosce che la sua disponibilità è per un progetto breve, almeno per ora, e noi siamo d’accordo.

Dopo avere incontrato Alessandra, pare che Sonia abbia detto al suo infermiere che in realtà avere le chiavi di casa in mano la spaventava e forse avrebbe dovuto fare un corso per imparare l’autonomia, prima di iniziare la convivenza. Ma l’infermiere, che si chiama come suo padre, le ha detto che l’autonomia è una cosa che si conquista da soli, mica te la possono dare, se no che autonomia sarebbe.

Quando Alessandra e Sonia si ripresentano per dirci come sono andate le cose, è stato raggiunto un equilibrio tra dubbi ed entusiasmo. La casa è carina, ma manca il balcone dove fumare e stendere la biancheria, si sono incontrate spesso, ma hanno caratteri diversi, Sonia è preoccupata delle regole, Alessandra fa troppe cose. Ma, sul fatto che la convivenza debba iniziare, sono d’accordo. L’appuntamento è a casa di Alessandra, nel tardo pomeriggio di un giorno di maggio: sul tavolo del soggiorno una torta preparata da Alessandra e dei dolci del forno ove lavora Sonia. Qualcuno scatta una foto nel momento in cui le chiavi passano dalle mani di Alessandra a quelle di Sonia.

La convivenza è durata un anno e mezzo ed è stata interrotta da un episodio critico e da alcuni eventi che si sono verificati, nella vita di entrambe, la morte della madre di Sonia e la comparsa di un fidanzato per Alessandra, ma un pezzo di autonomia è stato conquistato.

Sonia ora vive da sola e tiene sempre nella borsetta le chiavi della nuova casa, tutta sua, finalmente.