La terra dentro

La terra dentro

Ci sarebbe da risolvere il problema delle macchinette per il caffè, di cui Teresa reclama il rimborso, perché la sua ospite ne ha bruciate parecchie, dimenticate sul fuoco la notte, quando si alza per studiare. Scherza, ma non del tutto.
Irène si addormenta molto presto alla sera, più o meno quando fa buio, si sveglia verso l’una di notte, si alza, si fa un caffè e si mette a studiare per qualche ora, poi ritorna a dormire fino al mattino. L’incidente della caffettiera bruciata è molto frequente.

Per le due donne lo spazio domestico è una specie di campo di addestramento. Su questo terreno hanno imparato a scontrarsi, dandosi qualche stoccata, per poi farsi da parte e ricomporre le dispute. Ora hanno stabilito delle regole e sono diventate molto abili a mantenere leggere le zuffe, nell’intenzione di trovare un accordo.

Gli argomenti impugnati da Teresa sono, oltre allo spreco di macchinette per il caffè, l’ordine della stanza, la cura degli abiti, la dieta che non riesce a fare, il bucato da stendere appena lavato, i soldi che le scivolano dalle mani.

Irène, da parte sua, chiede, con un delizioso accento francese, quello della lingua madre, che la si lasci in pace, con i suoi ritmi, e che, nei momenti di stanchezza, si faccia attenzione perché su certi argomenti è un po’ ombrosa. Hanno imparato a fidarsi l’una dell’altra, anche se la comprensione non è sempre immediata, come quella volta che Irène ha richiesto un altro tavolino più grande per studiare e Teresa non l’aveva presa bene.

Gli uomini si tengono in disparte, i ragazzi sono spesso fuori casa, mentre Salvatore, il marito di Teresa, dice poche cose, ma in modo perfetto, come buongiorno nel tono giusto, oppure … ma, la ragazza è tornata?, soffre d’insonnia e di notte spesso guarda la televisione, mentre lei studia.

Quello che Irène non riusciva a sopportare, quando abitava nella casa dello studente, era la sua solitudine, anche se stava con altre ragazze nello stesso appartamento, che quasi non conosceva. L’unica amica era Agnese, una suora della parrocchia, che l’aiutava per mangiare e con un po’ di soldi, perché, dopo aver pagato l’affitto per la stanza, ad Irène rimaneva molto poco del sussidio dei servizi sociali. Insomma se la passava male, sempre con l’incertezza del permesso di soggiorno legato al vincolo di rimanere in pari con gli esami, mentre la concentrazione per studiare poteva venir meno, se l’umore non era quello giusto. Nemmeno il tetto sopra la testa era sicuro.

Quando ha visto il volantino dello IESA, mentre aspettava il suo turno di visita al Centro di Salute Mentale, ha pensato che sarebbe stata una buona soluzione ai suoi problemi ed ha chiesto alla dott.ssa se fosse d’accordo. Perché no? Fu la risposta, forse avrebbe trovato non solo un tetto, ma anche una vera casa ed un rimedio alla solitudine.

Irène ha i colori dell’Africa e il sapore della sua terra, il Camerun, che ha lasciato circa dieci anni orsono, come per continuare, in versione aggiornata, la tradizione migratoria della sua gente, come ci racconta. La città dove è nata si chiama Douala, una capitale molto popolosa e ricca di scambi, perché ha un porto con un gran traffico di merci, come cacao, caffè, petrolio, e anche schiavi in un passato che si è concluso, naturalmente, ma che è ancora vivo nella memoria della sua gente.

Irène appartiene ad un’etnia che si chiama Bamilèke, una delle tante che si sono spostate dalla campagna verso le città, dall’ovest verso la regione del Littoral, sul golfo di Guinea. Ogni etnia aveva una sua lingua, una specie di dialetto, che nelle ultime generazioni si sta perdendo, sostituita da quella dei dominatori, il francese nel caso di Irène, l’inglese per gli abitanti del sud-est e, per pochi altri, il te-

desco.I Bamilèke si distinguono ancora oggi per la difesa di tradizioni che hanno radici nel passato e proteggono la loro identità. E così l’alimentazione, il matrimonio ed altri rituali, che sanciscono la vita della comunità, hanno regole particolari. La maggior parte di loro si è convertita al cristianesimo, che coabita con un sistema di credenze che non si sono perse, in pratica un’altra religione. Il culto degli antenati è molto importante, protegge la comunità, guida le azioni e risolve molti problemi.

Per esempio, racconta Irène, se in famiglia qualcuno si ammala, la mamma consulta una specie di indovino, che interpreta i segni e spesso le dice che qualcosa ha offeso un antenato. Per guarire è necessario riparare l’offesa, solo l’antenato può sapere come sia possibile e lo comunica secondo un’usanza, che si chiama crâne (cranio). In casa era allestito un luogo, dove, dopo la morte di un anziano importante, i familiari tenevano la sua testa e a lei rivolgevano le suppliche, le preghiere, le richieste di intercessione per risolvere i problemi. Nella famiglia di Irène, per fortuna, è rimasto il fratello del nonno, il padre della mamma, che possiede il “crâne” di un antenato e si può andare da lui, se c’è bisogno. Ma ora la maggior parte delle altre famiglie non ha più un “crâne” e questo è un inconveniente.

La prima tappa del viaggio intrapreso da Irène è stata Firenze. Aveva in tasca una borsa di studio per frequentare il corso di laurea in “Ingegneria dell’ambiente”.

Si trattava di una scelta che, senza che ne fosse consapevole, le permetteva di combinare l’antico attaccamento dei Bamilèke alla propria terra con le tecniche della nostra cultura.

Il suo sguardo, ripete quando racconta, era sempre stato puntato fuori di sé, mentre dal di dentro incominciavano a farsi sentire delle voci che le comandavano di fare cose che lei, ora, non ricorda. Erano voci imperiose, sconosciute, che si facevano obbedire, senza che lei ne capisse il senso e l’origine, in un completo smarrimento. Forse, dice ora Irène, erano voci e presenze che lei aveva ignorato e che reclamavano di essere riconosciute ed ascoltate. Forse venivano dalle radici che lei aveva ancora nella terra dell’Africa, con le sue tradizioni, i riti, le credenze ed i legami familiari. Non si trattava soltanto di malattia, ne era certa.

A volte, a Douala, la famiglia di Irène, i genitori e cinque fratelli, si riunisce e prega, tutta la notte, perché le sue difficoltà si risolvano. E lei, nello stesso momento, ad una grandissima distanza, si alza, si prepara un caffè e si mette a studiare, perché ora, dopo la laurea, c’è il master in “Sostenibilità ambientale” da portare a termine.